Editoriale di Gianluca Berno, 2 agosto 2017

Si parla da un po’ di tempo di notizie false e del modo di contrastarle, un argomento che, per quanto delicato, viene trattato con una superficialità allarmante. La prima cosa che mi vien da dire è che questa delicatezza non risiede nell’argomento in sé ma in tutto ciò che gli si può ricamare intorno, a partire dalle improbabili commissioni incaricate di dare delle soluzioni al problema, come quella che la solita Boldrini ha voluto intitolare alla deputata inglese J. Cox.

Per chi non ricordasse la storia, la povera donna era stata uccisa durante la campagna elettorale che aveva infiammato gli animi in Gran Bretagna prima del referendum sulla permanenza del Paese nell’Unione Europea. La Cox era schierata contro quella che è stata chiamata “Brexit” e l’assassino materiale era effettivamente un attivista dell’altro fronte. Non ricorrerò a vaghe insinuazioni tacitiane sull’opportunità di quella morte per il fronte in cui la poveretta militava: s’anche un orrore simile fosse dimostrato vero, oggi sappiamo che non è servito a niente; in ogni caso, solo il silenzio e il rispetto è dovuto a chi, quale che fosse la sua opinione, è stato schiacciato da vicende più grandi del singolo.

La scelta di questo nome per la commissione contro le discriminazioni, le falsità e ogni tipo d’incitamento all’odio dimostra una scelta di campo da parte della Camera dei Deputati, che va inaccettabilmente al di là del semplice intento di contrastare pericolose derive. Pare di scorgere nell’intitolazione alla Cox una spinta autoritaria contro certe opinioni, le stesse che si presume abbiano mosso la mano dell’assassino: chiunque, come me, ha motivi di contrarietà verso l’Unione Europea viene automaticamente accostato, solo per questo a quegli ambienti eversivi e violenti che hanno avuto un ruolo in quella morte, e francamente questo non mi va. Del resto, i risultati della commissione e i rimedi proposti appaiono irrimediabilmente orwelliani: si va verso un Ministero della Verità, paventano alcuni, che decide che cosa è giusto e che cosa no, che cosa è lecito pensare e che cosa è possibile scrivere e dire. La Costituzione prevede un solo reato d’opinione, l’apologia fascista; ora un futuro governo di sconsiderati potrebbe disporre degli strumenti utili ad ampliare la casistica, individuando il fascismo anche ove non sia, per esempio in qualsiasi posizione sovranista, sulla base della presunzione.

Io sono sovranista. Lo sono perché non potrei non esserlo, perché “La sovranità appartiene al popolo”. È roba mia, chiaro? Non la cedo a nessuno, come non dovreste farlo voi che mi state leggendo, perché siete soci alla pari con me di questa proprietà. La democrazia è la più ampia forma di solidarietà, uno spazio in cui gli ultimi valgono come i primi e sono finalmente in grado di difendersi, per la prima volta nella Storia dell’Umanità. Per questo si sta cercando di samantellarla, a partire dalla censura; ma questa volta essa è più subdola, perché si serve di un’arma segreta: chi vuole impedirvi di pensare cose scomode impiega come pretesto la verità, la lotta contro chi semina odio e illude la gente. Il bersaglio è la rete, dove chiunque può fornire informazioni a chiunque ed è estremamente difficile capire quali siano vere e quali no.

Beninteso, nessuno nega il problema: quello che per me è ridicolo è che si indichino i media tradizionali come strumento di verifica delle notizie: da che mondo è mondo, ogni giornale e telegiornale interpreta le notizie in base a una griglia preconcetta, meglio nota come “linea editoriale”; e sarebbero questi i depositari della verità? In ogni caso, le notizie false sono riconoscibili con una certa facilità e qualunque cittadino di cultura media sa di non dover credere a storie di scie chimiche o a studi non meglio identificati secondo i quali i vaccini provocherebbero l’autismo. Eppure, nonostante la soluzione sia semplicemente studiare, i governi continuano a tagliare i fondi all’istruzione pubblica, la sola che sia accessibile a tutti, per poi inventarsi assurde commissioni contro la notizie false. La sola spiegazione che mi venga in mente è che tali governi, più che contrastare le notizie false, intendano mantenerne il monopolio.

Ecco allora alla vostra attenzione una serie di notizie false apparse su media accreditati, con relative smentite. Non cito testualmente ogni frase in grassetto ma ne riassumo il senso:

 

“Ricordo che, quando siamo stati chiamati a governare noi, l’Italia era a rischio di fallimento” – M. Monti | Semplicemente non è vero. Calcoli usciti con ammirevole ritardo dal Ministero del Tesoro smentiscono che il debito italiano fosse insostenibile nel 2011, quando lo spread indusse la caduta del quarto governo Berlusconi. Anzi: si voleva che l’Italia diminuisse il rapporto deficit/PIL, ma il governo tecnico di Monti pensò bene di ridurre la spesa pubblica nonostante fossimo nel mezzo di una crisi bancaria. Ora, io non penso di fare scioccanti rivelazioni se dico che in una crisi bancaria le banche sono in crisi; ciò significò, in termini pratici, quello che gl’Italiani hanno potuto verificare sulla loro pelle, cioè che le banche non prestavano denaro: se le banche non irrigano l’economia, lo deve fare lo Stato, altrimenti il PIL non può crescere. Risultato: il governo tecnico non si limitò ad abbassare il deficit ma impedì anche la crescita del PIL, vanificando in un colpo le lacrime e il sangue. Concludono gli esperti del Tesoro – probabilmente destati dal bacio d’un principe – che, se nel 2011 il governo italiano non avesse fatto assolutamente niente per fermare l’ascesa dello spread e rimettere in ordine dei conti pubblici che erano già in grado di reggere alla burrasca, noi saremmo usciti da quel guado meglio di come è andata davvero; pensate se ci fosse stato un governo interessato a fare la scelta giusta: saremmo la prima potenza industriale!

 

“La popolazione europea è bassa e in calo: se non siamo uniti non potremo mai competere con potenze come la Cina e gli Stati Uniti” – E. Letta | Non è una notizia propriamente falsa ma solo una frase illogica: l’andamento demografico non è mai del tutto controllabile, come dimostra l’abbandono per inefficienza della politica del figlio unico in Cina; ma di certo non è sommando tanti Stati in cui il saldo demografico è negativo, che si otterrà una crescita demografica. Esistono dei motivi per cui facciamo pochi figli e tutti si possono risolvere solo compiendo scelte che si allontanino molto dal sistema sociale dato dal capitalismo: procurare lavoro per tutti e un salario minimo, valorizzare la famiglia e il tempo libero, far passare il messaggio che un figlio è una benedizione e non una voce in perdita nel bilancio di casa, promuovere la dignità della vita e delle persone. Sono cose che il capitale, il cui primo intento è imporre come scopo della vita lavorare e consumare, non può incentivare: per questo si diffondono convinzioni storte come la teoria del gender o che una donna debba preferire la carriera alla maternità: se una coppia ha dei figli a cui pensare, non può produrre e consumare tanto quanto ci si aspetta in un mondo che insegue la crescita illimitata. E ovvio che l’Unione Europea, che del capitalismo è figlia e nume tutelare, non ha la base ideologica per attuare politiche volte a fare più figli, come voleva anche Veronesi, che su questo bisogno legato alla sopravvivenza scrisse anche un libro – e non era l’ultimo pirla, direi.

 

“L’Italia, da sola, non può, coi suoi soli prodotti, competere con potenze quali la Cina, gli Stati Uniti e il Giappone. Bisogna sostenere i prodotti europei piuttosto che quelli di una sola nazione” – Tajani, pres. Europarlamento | Anche questa è una scempiaggine, semplicemente perché il nostro Paese è forte su settori in cui, con i dovuti investimenti, non esiste Stato estero, per quanto grande e potente, che possa anche solo sfiorare il nostro livello di qualità. Una fantomatica alleanza europea a difesa della produzione dei Paesi dell’Unione, presi non singolarmente ma come un solo Stato, non è neppure possibile: per esempio, Germania e Italia sono forti negli stessi settori, cioè sono portate alla competizione piuttosto che a fare fronte comune contro un presunto nemico al di fuori. Su questa competizione torniamo in un prossimo punto…

 

“Come può l’Italia affrontare da sola un’immane tragedia come l’emergenza migranti?” – A. Caprarica | Come Unione, la soluzione proposta e mai attuata è l’equa distribuzione dei migranti; ma a monte di quest’equa distribuzione c’è una curiosa tendenza dell’Italia a impiegare molto più tempo che in ogni altro Paese a stabilire se il migrante X sia un profugo, e dunque debba essere accolto per dovere d’umanità, oppure un soggetto arrivato qui senza veri drammi alle spalle e pertanto respingibile senza chi sa quali rovelli di coscienza. Sapendo che solo una piccola percentuale di coloro che sono ripescati dal mare ogni settimana ha motivo di restare, basterebbe accelerare le procedure – o anche solo avviarle, verrebbe da dire – per risolvere una parte del problema. Per fare ciò non serve l’Unione ma solo una seria azione dello Stato italiano, che curiosamente non è mai arrivata. Pare infatti che le cooperative e gli imprenditori abbiano da lucrare su una massiccia presenza di immigrati senza nome né pretese salariali. Venendo al merito delle paure di Caprarica, vorrei rassicurarlo con la notizia che, in effetti, l’Italia è già da sola: il Trattato di Dublino ci trasforma in un grande centro di accoglienza, in linea con lo spirito che anima l’Europa: se hai un problema, esso riguarderà gli altri solo se sei più forte di loro. Quindi, la situazione ipotetica del giornalista è realtà e la risposta è (era dieci anni fa) di chiudere i porti. Non è razzismo – non siamo i Francesi, i Maltesi, i Tedeschi, noi! – ma la pragmatica constatazione che non abbiamo i soldi per occuparci della questione. Per altro, i salvataggi finiscono per dare coraggio agli scafisti; inoltre, gli stessi regolamenti europei prevedono l’accoglienza di chi ha diritto e il respingimento di chi non ce l’ha. Quindi, per cortesia, niente buonismo.

 

“L’Euro ha protetto i risparmi” – Sergio Mattarella | Per non incorrere nell’accusa di vilipendio, debbo supporre che il Presidente della Repubblica sia stato male informato dai suoi sottoposti: il potere d’acquisto in Italia è in calo sistematico dall’entrata nell’Euro, al netto delle fluttuazioni. Diceva J.M. Keynes, non io, che se non si può svalutare la moneta – come nel caso dell’Euro – si svalutano i salari. La cosa viene accennata en passant dallo stesso studio sulla fattibilità dell’Euro, commissionato prima che nascesse la moneta unica, dalla stessa Unione: è la sola frase vera che ci sia scritta in tutte quelle pagine. Una moneta unica per economie diverse, a meno che non vengano provviste compensazioni, è un’arma letale che le economie più potenti potranno sfruttare contro le più deboli, come dimostra la crisi argentina degli anni ’90 e come avrebbe dovuto farci intuire anche il fallimento dello SME (Sistema Monetario Europeo) nel 1992 o ancora la rinuncia degli Inglesi al gold standard prima ancora: si dà il caso che il valore della moneta debba essere regolato dal produttore in base alle condizioni reali dell’economia. Il denaro dovrà essere rivalutato se l’economia va bene e svalutato se va male. Non è un modo per “drogare il mercato”, come dicono alcuni, ma solamente il normale funzionamento delle cose. Infatti, la Germania ha evitato grazie all’Euro, che vale un Marco del 1999, una rivalutazione che avrebbe danneggiato le sue esportazioni; mentre l’Italia, che al solito aveva bisogno di una svalutazione, non ha più potuto farla. Il risultato è che la Germania funziona grazie a una moneta svalutatissima, come la Cina, e vive a sbafo degli altri membri dell’area Euro; mentre l’Italia, con una moneta ben più costosa di quanto possa permettersi, ne ha subìte le conseguenze. Il surplus ottenuto dai Tedeschi, per le stesse regole europee, è nulla più che un furto, una manipolazione per cui la Germania è sotto inchiesta. Lasciamo poi perdere i disastri cui la speculazione, mai così attiva come dentro l’Unione, ha condotto le nostre banche: vedo come sono protetti bene i risparmi! La popolazione guadagna meno e può spendere meno, così deve attingere a quei denari che ha risparmiato ai tempi della Lira brutta e cattiva, quando aveva un lavoro e una pensione garantiti. Per la cronaca, così era accaduto in Gran Bretagna ai tempi del gold standard, e poi di nuovo durante lo SME, così che entrambi i sistemi vennero soppressi; lo stesso fallimento dell’Argentina accadde per colpa dell’insostenibile agganciamento del Peso al Dollaro. Chi è l’idiota che ha creduto davvero che costringere tanti Paesi diversi sotto una sola valuta, più costosa perché di proprietà di una banca privata, la BCE, fosse un affarone per l’Italia?

 

“Per ripartire dobbiamo attrarre gli investimenti stranieri” – Matteo Renzi | Nel momento in cui disse questa frase, non voleva intendere i soli investitori di cui l’Italia abbia bisogno, ossia i turisti. Un imprenditore che vuol investire i suoi soldi in un’azienda di un altro Paese, la quale è anche in crisi, ha tutto l’interesse a resuscitare la ditta in questione; ma per portarsi a casa i profitti o tutta la ditta, non certo per amore di dipendenti per lui stranieri o per un’opera di carità verso una nazione non sua. Questo è così ovvio che gli economisti, nei loro modelli, conteggiano gli investimenti stranieri come perdite.

 

“Se l’Italia uscisse dall’Euro nel primo anno subirebbe un crollo del PIL del 30% e un calo del 15% negli anni successivi” – Il Sole 24 Ore | Nulla di più falso. Sarebbe facile limitarsi al rifiuto sdegnato di lezioni di economia da una testata con oltre cinquanta milioni di debiti, che ha persino truccato il numero di abbonati per nascondere il rischio di bancarotta; no, voglio spiegare perché questo scenario è terrorismo bello e buono. Il peggior caso di crisi di una unione monetaria è il già accennato default dell’Argentina. Alberto Bagnai, professore di economia a Pisa e dunque un altro che non è l’ultimo pirla, affermava tempo fa che l’Italia è in condizioni migliori di quelle del Paese sudamericano al momento del fallimento. E quali travagli economici affrontò la patria di Papa Francesco in quell’epoca: -14% il primo anno, poi il PIL oscillò tra il +7 e il +9%! Che l’uscita da un’unione monetaria sia dolorosa è un fatto; ma altrettanto un fatto è che non si diano condizioni tali da paventare scenari più gravi di quello argentino.

 

“L’Europa unita ha garantito settant’anni di pace” – uno spot di propaganda della RAI e moltissimi altri | Intanto, solo per un po’ di Paesi europei, guarda caso tutti membri della NATO, mentre appena dall’altra sponda dell’Adriatico c’erano le guerre civili. In ogni caso, tutti i meriti della pace di cui noi in occidente, salvo seguire gli Americani nelle solite “missioni di pace”, vanno alla bomba atomica e al terrore di servirsi ancora della sua incommensurabile potenza distruttiva. Se mai, le tensioni crescenti tra gli Stati membri rischiano di portare alla prossima guerra: del resto è un noto effetto del capitalismo, con la sua smania di accumulare profitti a scapito di chi ha meno, che si giunga periodicamente a situazioni di deflazione e crisi grave, come nel ’29, da cui si esce solo con la guerra. Altro che nazionalismo, la vera causa di ogni conflitto della Storia è il denaro.

 

In conclusione vorrei dare una notizia vera: andiamo in vacanza, buon Agosto! Se serve, appariranno comunque nuovo articoli, spero più leggeri e letterari di questo.