Omaggio a Tullio De Mauro di Gianluca Berno

Siccome il professor De Mauro, della cui dipartita a 84 anni abbiamo oggi appreso dal Televideo, era linguista, intenderei omaggiarlo con un aneddoto che ascoltai durante una lezione di Linguistica Generale: il docente raccontò alla classe la storiella, udita in una conferenza, come esempio di quanto la lingue possano essere diverse.

Un viaggiatore cinese in Italia, con una conoscenza ridotta della lingua locale, ha molte probabilità di incappare in qualche incomprensione, esattamente come un viaggiatore italiano in Cina, di fronte alla lingua del posto (alle lingue del posto: un territorio così grande è pieno di dialetti e lingue, dove il cinese mandarino prevale per ragioni politiche).

Ora, un Cinese – così racconta il nostro aneddoto – si trovava su un treno in Val Padana, diretto chissà dove per questioni lavorative. Scese alla stazione sbagliata per una svista, ma il vero problema fu il trovarsi di fronte al cartello col nome del luogo in cui si trovava. La prima cosa che gli fu evidente era la non corrispondenza con la sua meta; ma leggere il parolone lo disorientò:

“CASALPUSTERLENGO”

Che cosa lo lasciò di sasso? Per prima cosa la lunghezza del nome, che per le lingue asiatiche è inusuale: in esse la vera unità di misura non è la parola ma la sillaba, cioè un Cinese tenderebbe ad attribuire a ciascuna sillaba in significato e mai ne metterebbe sei tutte in un solo nome. In secondo luogo, tre vocali chiuse tutte insieme sono un’altra cosa di cui il cinese fa a meno. Il Nostro, insomma, conoscendo poco l’italiano, si era trovato di fronte a un rebus.

La storiella è un esempio – non di De Mauro ma della linguistica – e, se raccontata bene, può anche far sorridere. Nulla è meglio, in questo caso, della resa orale. Ma a proposito di parole, il professore è famoso anche per la sua postfazione al Grande Dizionario della Lingua Italiana, detto per brevità GRADIT, dove osserva che

…il 60% del vocabolario fondamentale dell’italiano d’oggi è già presente quando Dante comincia a creare la Commedia e Dante e il Trecento lo completano al 90%, ed all’86% completano il vocabolario ancora oggi di alto uso. La Commedia in particolare ha avuto un ruolo centrale nella vicenda […]. Dei poco più di settemila suoi vocaboli, solo il 14 percento ha avuto in sorte l’obsolescenza (come dannaggio) o la sopravvivenza puramente letteraria (come fiata) o, in qualche caso, regionale. Una parola entrata nelle terzine dantesche ha avuto più di otto probabilità su dieci di continuarsi intatta e viva fino a noi, come parte del vocabolario fondamentale, d’alto uso e comune.

Insomma, gira e rigira siamo tutti poeti. De Mauro non avrebbe potuto farci un complimento migliore, ed anche di questo lo ringraziamo.