di Gianluca Berno

A un certo punto, nella sua foga purista, il regime fascista era giunto a proibire il lei, «servile e straniero», come forma di cortesia, imponendo di sostituirlo con il voi dantesco. Questo è uno fra i dettagli di quell’epoca che, una volta appreso, fa spesso sorridere: ma qual governo serio si occupa di una cosa del genere?

In verità, la Francia conserva ancor oggi con gelosia l’integrità dell’idioma patrio, per esempio vietando i prestiti in tutti i documenti ufficiali, dai compiti in classe ai testi di legge, passando per la radio e la televisione. Non è, insomma, un fatto di destra o di sinistra, per quanto da noi si leghi a tempi tristi.

Questo raccontino, però, non vuol esser il principio di una discussione politica: è molto più interessante scavare sotto la proibizione mussoliniana, perché da lì si entra nel campo degli allocutivi. Lì vi volevo condurre, in un viaggio non così lungo ma spero interessante, fra i modi in cui ci si rivolge(va) alle persone.

«Tu lo dici…»

Così Gesù a Ponzio Pilato, suo giudice in quel frangente, Prefetto di Giudea e per ciò rappresentante dell’imperatore e di Roma. Forse, al lettore d’oggi sembrerà strano che un imputato, per giunta passibile di condanna a morte, dia del tu a chi dovrà decidere di lui; ma questa era la modalità con cui ci si rivolgeva a tutti, perfino ad Augusto.

Si può dire che in latino, per gran parte della Storia romana, non vi fu una vera formula di cortesia – del resto, anche la parola «cortesia» è medievale.

«Voi, ch’avete mutata la mainera…»

È il primo verso d’una canzone, rivolta da Bonagiunta Orbicciani a Guinizzelli. Il voi è qui attestato come allocutivo di rispetto, ma da dove viene?

L’uso del voi si affermò nell’Antichità tarda per parlare ai membri della famiglia imperiale: ritengo sia successo specularmente all’uso del noi da parte dell’imperatore stesso, il famoso plurale majestatis. Man mano che si formava una classe nobiliare, nel modo in cui l’intendiamo noi pensando alle corti, si giunse a dare del voi a tutti i superiori sulla scala sociale.

Questa fu la situazione normale in tutto il Medio Evo, finché nel Quattrocento si diffuse un uso particolare, nato sempre nell’àmbito del voi ma che sarebbe poi sfociato in una nuova formula: si tratta, soprattutto nella scrittura epistolare, di espressioni come «la signoria vostra», la quale suscita infine l’impiego della terza persona.

Oggi il voi può dirsi estinto in gran parte dell’Italia: un po’ per volta è stato soppiantato dal lei, ma fin all’Ottocento rimase vitale. Si vedrà come. Un dettaglio interessante è che in inglese, una lingua che spesso ci pare tanto moderna, è sopravvissuto fino a noi, diventando pervasivo: questa è una delle possibili interpretazioni del fatto che sia la seconda persona singolare, sia la seconda plurale, sono you, mentre è del tutto sparito l’ancor melvilliano thou («tu», appunto). Pare che in Gran Bretagna esistano, ma formalissime e marginali, delle strategie analoghe al nostro lei, almeno secondo un articolo in cui si riportavano osservazioni di Umberto Eco su questa materia.

«Lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!»

Manzoni è la plastica esemplificazione di un sistema di allocutivi che ha retto per secoli e si basava su tre forme: il tu si dava agli amici intimi (Renzo a Tonio e viceversa), a fratelli e cugini, ai figli e ai servi di condizione molto più bassa della propria (don Rodrigo al Griso, al Nibbio l’innominato); il voi ai pari grado con cui non si aveva confidenza (Renzo a Lucia e viceversa, anche dopo sposati) e agli inferiori; il lei a tutti i superiori cui fosse sensato rivolgersi con epiteti quali «vostra signoria», «illustrissimo», ecc.

Questa formula era nata in Italia, e precisamente nelle cancellerie; ma perché sotto il fascismo la si credeva di origini spagnole? È presto detto: sotto la dominazione spagnola, il lei ebbe un vero e proprio exploit, diventando la più diffusa delle formule talmente in fretta, da far credere che l’avessero inventato loro. In verità gli Spagnoli erano anche troppo cerimoniosi, tutto qui: per non sbagliarsi con le gerarchie, finirono col dare della «signoria illustrissima» quasi a chiunque.

A rigore – e questo Manzoni lo aveva messo nel Fermo e Lucia, la prima edizione della famosa storia – il lei di cortesia seguirebbe le stesse regole del pronome di terza persona da cui deriva: se è soggetto, bisognerebbe dire ella, e riservare la forma lei ai casi obliqui. Al plurale, poi, come faceva Manzoni pure ne I promessi sposi e non si fa più, il purismo imporrebbe di dire loro e di coniugare i verbi di conseguenza; ma attualmente si preferisce usare voi come plurale del lei, che a occhio mi pare un modo più confuso, quantunque ci venga normale.

Il sistema manzoniano era il riflesso di una società articolata e di una precisa area linguistica, l’italiano toscano che l’autore milanese adottò per il romanzo. All’inizio del nuovo secolo, al Nord c’era una prevalenza del lei di cortesia, e al Sud, per lo stesso scopo, si usava praticamente solo il voi. In questa situazione intervenne il divieto fascista, con ricadute a tratti comiche: Benedetto Croce, napoletano e quindi per dialetto incline a usare il voi, decise di provare in concreto il proprio antifascismo correggendosi con il lei in maniera evidente e sistematica.

Oggi siamo in un contesto d’espansione del colloquiale uso del tu, mentre il lei è la formula di cortesia più diffusa. Il voi, come attesta per esempio Camilleri nei romanzi sul Commissario Montalbano, è tutt’ora vitale al Sud; resta anche il solo allocutivo formale in Topolino, fateci caso.

Questa carrellata storica potrebbe esser utile a chi vuole, che so io, scrivere un romanzo o un racconto ambientato nel passato meno recente; può essere anche un ripasso di Storia della lingua, per chi vi si imbattesse all’università; o a capire perché nei film ambientati durante il regime qualche personaggio rimproveri a un altro l’uso del lei, come fa la Loren con Mastroianni in Una giornata particolare, bellissimo film da vedere. Al limite v’avrò annoiati; ma credete che non s’è fatto apposta.